C’è un’immagine che resta impressa, al termine della prima edizione del Festival ESSER3 di Ozzano dell’Emilia: una piazza che diventa agorà, intreccio di voci, famiglie, istituzioni e associazioni che si ascoltano e si guardano negli occhi. In mezzo a questo dialogo collettivo, la voce di Luca Marchi, direttore della Fondazione Dopo di Noi di Bologna, ha saputo indicare con chiarezza un orizzonte: il “dopo di noi” non è soltanto un problema da amministrare, ma una visione da costruire.
Oltre la disabilità, il nodo del legame
Marchi lo dice senza mezzi termini: “Il problema del dopo di noi non è la disabilità, ma il legame genitore-figlio che invece di allentarsi, come accade normalmente, si rafforza fino a diventare inscindibile. Quando quel genitore, inevitabilmente, non sarà più in grado di reggere, il rischio di frattura diventa drammatico.”
È un cambio di prospettiva radicale. Non basta moltiplicare prestazioni, erogare servizi, aprire strutture. Serve un progetto di vita, costruito con anticipo, che accompagni la persona con disabilità e la sua famiglia in un percorso graduale verso autonomia dai genitori e un abitare possibile.
La legge 112 e i suoi limiti
La cosiddetta legge “Dopo di noi” (L. 112/2016), pur introducendo strumenti innovativi come il trust o i fondi speciali, resta – secondo Marchi – una risposta incompleta. “Nella maggior parte dei casi – ricorda – le famiglie non hanno grandi patrimoni, ma solo un immobile, qualche risparmio. Il vero tema è come valorizzare queste risorse minime senza che vadano disperse o restino inutilizzate. Ma l’ente pubblico non è in grado di gestire questa disponibilità in modo efficace e sicuro.”
Un modello alternativo: il servizio residenziale diffuso
Da oltre vent’anni la Fondazione sperimenta un approccio diverso: il Sistema residenziale diffuso. Otto appartamenti già avviati, ciascuno nato non per risolvere emergenze, ma per accogliere gruppi di 5-6 persone che hanno fatto un percorso educativo e di conoscenza reciproca. Case costruite non “per categorie”, ma per persone vere. Qui la famiglia non è spettatrice ma parte attiva, disponibile a contribuire oltre le quote ISEE quando percepisce che il progetto è davvero pensato per il futuro del proprio figlio.
L’ostacolo della rigidità pubblica
Eppure, quando queste esperienze incontrano le maglie del sistema pubblico, la macchina si inceppa. Marchi porta l’esempio del PNRR: “Avevamo trovato una famiglia disposta a mettere a disposizione una casa, ma i vincoli amministrativi hanno spaventato i genitori, costringendoli a ritirarsi. Servono norme e strumenti che riconoscano la specificità del ‘dopo di noi’, non fotocopie mutuate di servizi per anziani.”
Dalla gestione alla visione
Il messaggio finale è una chiamata collettiva: “Non basta parlare di fondi. Per il dopo di noi serve una nuova visione amministrativa e gestionale, capace di flessibilità, di personalizzazione, di ascolto delle famiglie. La Fondazione Dopo di Noi è pronta a lavorarci insieme, come ponte tra pubblico, privato e comunità.”
In fondo, il senso delle parole di Marchi è semplice ma esigente: non si tratta di sostituire i genitori, ma di rendere possibile una vita autonoma e dignitosa, fondata su relazioni e investimenti sul futuro. Il Festival ESSER3 ha offerto la piazza, le famiglie hanno portato la voce, la Fondazione ha rilanciato la visione. Sta ora alle istituzioni trasformare queste parole in politiche concrete.
C’è sempre qualcosa che resta sospeso, quando il tempo di un palco o di un incontro si esaurisce. Anche durante il Festival ESSER3, la Fondazione Dopo di Noi ha lasciato in silenzio alcune riflessioni che meritano invece di emergere.
Il non detto riguarda soprattutto la natura del legame genitore-figlio. In condizioni ordinarie, quel legame tende ad allentarsi, lasciare spazio a nuove autonomie. Nel caso della disabilità, invece, accade il contrario: la dipendenza cresce, si intensifica, diventa totale. È proprio questo nodo a rendere più difficile immaginare e realizzare un futuro diverso.
Non è mancata anche la riflessione sulle risorse: spesso ridotte, spesso frammentate, quasi mai sufficienti a garantire piena sicurezza. Il rischio è che ciò che le famiglie hanno messo da parte finisca altrove, senza essere mai stato davvero usato per costruire la vita dei propri figli.
Ma la parte più dolorosa e necessaria da dire – e che non sempre trova spazio nei palchi ufficiali – è questa: senza una visione nuova, senza un coraggio istituzionale capace di cambiare logiche e regole, il dopo di noi resterà sospeso, affidato alla buona volontà dei singoli.
Queste parole non dette sono però anche un invito: aprire tavoli di confronto veri, immaginare modelli flessibili, riconoscere il valore delle famiglie non solo come fruitori, ma come investitori di futuro.